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Il fuoco di S.Nicolò
Il castello di Malnido
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San Nicolò: storia e leggenda
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Il fuoco di San Nicolò

Villafranca in Lunigiana

 

.Il castello di Malnido a Villafranca in Lunigiana

 

Il nome Malnido è citato per la prima volta nel Diploma che l’imperatore Federico Barbarossa concesse, nel 1164, al Marchese Obizzo Malaspina, ma la sua fondazione dovrebbe essere fatta risalire a qualche decennio prima, agli inizi del XII secolo, presumibilmente ad opera dei discendenti degli Obertenghi (gli Estensi e i Malaspina) i quali, in contrapposizione al Vescovo -conte di Luni e ad una folta feudalità minore, si disputavano la Val di Magra e alcuni territori che avevano fatto parte della Marca Obertenga.

Il mastio, primo nucleo della fortificazione, attorno al quale progressivamente nei secoli successivi si sviluppò l’imponente mole del castello, sorgeva sulla parte più eminente dello sperone in posizione strategica di assai rilevante importanza poiché controllava il sottostante tratto della via Francigena che, dopo aver guadato il Bagnone un poco più a monte e attraversato la villa premalaspiniana (poi Villafranca) proseguiva per Groppofosco, Aulla e Sarzana.

La trasformazione del castello di Malnido da strumento di guerra in dimora signorile, ebbe inizio nella prima metà del XIII secolo ad opera dei marchesi Malaspina  dello Spino secco i quali, al momento del loro insediamento in Lunigiana, avevano eletto Mulazzo capitale dei loro possedimenti e mantenuto Villafranca come possesso indiviso.

La privilegiata posizione strategica assunta dal castello di Malnido in seguito alla divisione del 1221 (unico possedimento dei Malaspina dello Spino secco su un tratto importante della via Francigena), il controllo del sottostante guado della Barca che unendo le opposte sponde della Magra metteva in comunicazione la grande via con altre che conducevano nel Genovesato, il graduale assorbimento della vicina “villa” con la conseguente formazione del borgo di Villafranca unitamente alla decadenza di Groppofosco, erano state le cause più significative che avevano di gran lunga accresciuto l’importanza del castello di Malnido che dopo la costituzione del feudo autonomo di Villafranca (1355, Federico Malaspina, 1° Signore generale) diveniva la sede di uno dei marchesati più importanti, se non il più importante, della Lunigiana.

Durante il XV secolo, in conseguenza dell’invasione del marchesato di Villafranca da parte della famiglia genovese dei Campofregoso, il castello subì danni e demolizioni (quello di Lusuolo fu diroccato) ma mutate le sorti e rientrati i marchesi Malaspina di Villafranca in possesso del loro marchesato, nel corso del XVI secolo seppero esaltarne le peculiarità e cogliere i vantaggi e le condizioni favorevoli che provenivano da oculate alleanze politiche (con il Ducato di Milano prima e con il Granducato di Toscana poi) i cui effetti si riverberarono positivamente su tutto il territorio.

Il 1500 è, infatti, il secolo durante il quale il marchesato di Villafranca visse la stagione più esaltante della sua storia (ristrutturazione alla moderna del borgo, costruzione del Convento di San Francesco, istituzione di una nuova parrocchia, ripresa delle attività commerciali, ecc.) e, naturalmente, di assai rilevante importanza furono gli interventi, le ristrutturazioni e gli ampliamenti delle strutture residenziali eseguite sul castello, sede del governo del feudo, residenza signorile e sempre più simbolo dell’accresciuto potere marchionale.

Gli interventi cinquecenteschi furono imponenti e mutarono profondamente la primitiva fisionomia del castello che da fortificazione, stava sempre più assumendo le sembianze di un palazzo signorile.


 
 

Nel lato nord, verso il torrente Bagnone, fu aggiunta ex novo una poderosa e disarmonica struttura che ospitò, nei piani bassi, ampi saloni voltati adibiti a magazzini e depositi e, nei piani superiori, ampie sale di rappresentanza.

Ad oriente, verso la piazza di San Nicolò, furono costruite grandi volte e terrazze e ripristinata la “porta” e lo scalone che conduceva ai piani alti del castello; nel lato sud furono costruiti barbacani di rinforzo e muri di sostegno che interessarono la cinta muraria e tutto il complesso della porta sottana con gli annessi uffici della dogana e del posto di guardia.

All’interno i saloni furono affrescati e vi furono collocati pregevoli camini, mentre gli ingressi furono allargati e riquadrati con eleganti portali in pietra serena.

La cappella che si trovava all’interno del castello, fu ristrutturata e dotata di preziosi arredi e fu riordinato l’archivio domestico.

Durante i secoli XVII e XVIII, venute meno le condizioni per le quali il marchesato di Villafranca aveva conosciuto un periodo di particolare floridezza, si assistette ad un progressivo declino del marchesato stesso che coinvolse, naturalmente, anche il castello il cui degrado non poteva essere arrestato a causa delle quasi inconsistenti entrate feudali che provenivano dagli appalti della guardia alle porte, dalla dogana, dal traghetto con barca sul fiume Magra, dai mulini e dai proventi di qualche osteria.

Tuttavia, il castello continuò a rappresentare, anche in quei secoli, la sede del governo marchionale, la casa della ragione, le carceri, il posto di guardia e la dimora dei marchesi condomini delle due linee dei Malaspina di Villafranca (Villafranca-Virgoletta e Villafranca-Castevoli) che abitarono il castello in appartamenti separati a causa delle frequenti discordie che dividevano le due casate.

L’Editto del Generale francese Chabot, del 1797, metteva fine al feudalesimo in Lunigiana e tutti i marchesi della Val di Magra, i Malaspina soprattutto, ma anche gli Ariberti-Freganeschi, e i Corsini, perdevano tutti i loro privilegi feudali ma non i castelli che furono invece considerati beni allodiali e, come tali, non confiscabili.

L’inizio del XIX secolo segnò comunque il tracollo di tutto il sistema castellano della Lunigiana sul quale, per secoli, si era incentrata la vita di quasi tutte le nostre comunità.

Gli antichi manieri furono per mancanza di fondi, lasciati decadere, alcuni furono abbandonati e venduti o svenduti, altri furono ridotti a magazzini o a condomini.

Passati in mani borghesi o contadine, subirono trasformazioni disdicevoli, altre destinazioni d’uso e scempio nelle strutture e negli arredi.

Da questa sorte si salvò il castello di Villafranca grazie all’ostinata determinazione dell’ultimo feudatario, il marchese Tommaso Malaspina, il quale a prezzo di grandi sacrifici, seppe conservarne la proprietà e trasmetterla ai suoi discendenti.

Durante il XIX secolo alcune quote marginali del complesso furono cedute a famiglie agiate del luogo (ai Busticchi, ai Romiti, ecc.) ma nella sua quasi totalità, il castello rimase in possesso della famiglia Malaspina e continuò, se pur ridotto a condominio (fu contemporanea dimora di decine di famiglie villafranchesi) ad essere un riferimento importante per la comunità come sede di uffici comunali, del servizio di leva, di sale di rappresentanza e di intrattenimento.

Alla fine dell’800, i lavori per la costruzione della linea ferroviaria Parma – La Spezia (malauguratamente fatta passare attraverso il limitato spazio che divideva l’ingresso principale del castello da quello della chiesa di San Nicolò) deturparono irrimediabilmente il sito storico e ne stravolsero sembianze e funzioni.

Una trentina di anni dopo, nel 1920, il terremoto che scosse la Lunigiana, arrecò al castello danni notevoli ma non irreparabili.

Negli anni che seguirono furono approntati i lavori di riparazione e di consolidamento delle strutture lesionate (tamponamenti di archi, costruzione di barbacani, rinforzo di muri esterni, ecc.) ed il castello subì una ulteriore trasformazione che ne mutò ancora la sua struttura originaria.

Tali lavori furono interrotti allo scoppio della 2a Guerra mondiale.

Durante il conflitto, e precisamente nel periodo che va dal 15 Giugno al 15 Luglio dell’estate del 1944, Villafranca subì quattro incursioni aeree di notevole intensità.

Durante la terza incursione, quella del 7 Luglio, il castello considerato a torto obiettivo militare, fu colpito da decine di bombe e irreparabilmente distrutto.

I danni furono ingentissimi. Andarono completamente perduti i piani superiori e le piogge dell’inverno successivo danneggiarono le strutture sottostanti rendendole inagibili.

A guerra terminata, i proprietari, anziché impiegare i fondi ottenuti (come previsto dalla Legge sui danni di guerra) nella ricostruzione del castello, optarono  per la vendita delle “perizie” a privati cittadini (la legge  lo prevedeva) per cui la grande cubatura del castello fu frazionata, venduta a tanto al metro cubo e utilizzata per riparare o per costruire ex novo altre abitazioni.

Era il colpo di grazia inferto dai proprietari alla loro antica residenza. Nessuna legge tutelò il bene storico e lo scempio che seguì fu totale. Furono asportati portali, stipiti, camini, riquadrature di finestre e di porte, bozze di arenaria e travature, fino a giungere al desolante stato di degrado attuale

da: Germano Cavalli:
"Il fuoco di San Nicolò nella storia e nella tradizione"
Quaderni dell'Associazione "Manfredo Giuliani"

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