Nel lato nord, verso il torrente Bagnone, fu
aggiunta ex novo una poderosa e disarmonica struttura che ospitò, nei piani
bassi, ampi saloni voltati adibiti a magazzini e depositi e, nei piani
superiori, ampie sale di rappresentanza.
Ad oriente,
verso la piazza di San Nicolò, furono costruite grandi volte e terrazze e
ripristinata la “porta” e lo scalone che conduceva ai piani alti del
castello; nel lato sud furono costruiti barbacani di rinforzo e muri di
sostegno che interessarono la cinta muraria e tutto il complesso della porta
sottana con gli annessi uffici della dogana e del posto di guardia.
All’interno i saloni furono affrescati e vi
furono collocati pregevoli camini, mentre gli ingressi furono allargati e
riquadrati con eleganti portali in pietra serena.
La cappella che si trovava all’interno del
castello, fu ristrutturata e dotata di preziosi arredi e fu riordinato
l’archivio domestico.
Durante i secoli XVII e XVIII, venute meno le
condizioni per le quali il marchesato di Villafranca aveva conosciuto un
periodo di particolare floridezza, si assistette ad un progressivo declino
del marchesato stesso che coinvolse, naturalmente, anche il castello il cui
degrado non poteva essere arrestato a causa delle quasi inconsistenti
entrate feudali che provenivano dagli appalti della guardia alle porte,
dalla dogana, dal traghetto con barca sul fiume Magra, dai mulini e dai
proventi di qualche osteria.
Tuttavia, il
castello continuò a rappresentare, anche in quei secoli, la sede del governo
marchionale, la casa della ragione, le carceri, il posto di guardia e la
dimora dei marchesi condomini delle due linee dei Malaspina di Villafranca (Villafranca-Virgoletta
e Villafranca-Castevoli) che abitarono il castello in appartamenti separati
a causa delle frequenti discordie che dividevano le due casate.
L’Editto del Generale francese Chabot, del 1797,
metteva fine al feudalesimo in Lunigiana e tutti i marchesi della Val di
Magra, i Malaspina soprattutto, ma anche gli Ariberti-Freganeschi, e i
Corsini, perdevano tutti i loro privilegi feudali ma non i castelli che
furono invece considerati beni allodiali e, come tali, non confiscabili.
L’inizio del XIX secolo segnò comunque il
tracollo di tutto il sistema castellano della Lunigiana sul quale, per
secoli, si era incentrata la vita di quasi tutte le nostre comunità.
Gli antichi manieri furono per mancanza di fondi,
lasciati decadere, alcuni furono abbandonati e venduti o svenduti, altri
furono ridotti a magazzini o a condomini.
Passati in mani borghesi o contadine, subirono
trasformazioni disdicevoli, altre destinazioni d’uso e scempio nelle
strutture e negli arredi.
Da questa sorte si salvò il castello di
Villafranca grazie all’ostinata determinazione dell’ultimo feudatario, il
marchese Tommaso Malaspina, il quale a prezzo di grandi sacrifici, seppe
conservarne la proprietà e trasmetterla ai suoi discendenti.
Durante il XIX secolo alcune quote marginali del
complesso furono cedute a famiglie agiate del luogo (ai Busticchi, ai
Romiti, ecc.) ma nella sua quasi totalità, il castello rimase in possesso
della famiglia Malaspina e continuò, se pur ridotto a condominio (fu
contemporanea dimora di decine di famiglie villafranchesi) ad essere un
riferimento importante per la comunità come sede di uffici comunali, del
servizio di leva, di sale di rappresentanza e di intrattenimento.
Alla fine dell’800, i lavori per la costruzione
della linea ferroviaria Parma – La Spezia (malauguratamente fatta passare
attraverso il limitato spazio che divideva l’ingresso principale del
castello da quello della chiesa di San Nicolò) deturparono irrimediabilmente
il sito storico e ne stravolsero sembianze e funzioni.
Una trentina di anni dopo, nel 1920, il terremoto
che scosse la Lunigiana, arrecò al castello danni notevoli ma non
irreparabili.
Negli anni che seguirono furono approntati i
lavori di riparazione e di consolidamento delle strutture lesionate
(tamponamenti di archi, costruzione di barbacani, rinforzo di muri esterni,
ecc.) ed il castello subì una ulteriore trasformazione che ne mutò ancora la
sua struttura originaria.
Tali lavori furono interrotti allo scoppio della
2a Guerra mondiale.
Durante il
conflitto, e precisamente nel periodo che va dal 15 Giugno al 15 Luglio
dell’estate del 1944, Villafranca subì quattro incursioni aeree di notevole
intensità.
Durante la terza incursione, quella del 7 Luglio,
il castello considerato a torto obiettivo militare, fu colpito da decine di
bombe e irreparabilmente distrutto.
I danni furono ingentissimi. Andarono
completamente perduti i piani superiori e le piogge dell’inverno successivo
danneggiarono le strutture sottostanti rendendole inagibili.
A guerra terminata, i proprietari, anziché
impiegare i fondi ottenuti (come previsto dalla Legge sui danni di guerra)
nella ricostruzione del castello, optarono per la vendita delle “perizie” a
privati cittadini (la legge lo prevedeva) per cui la grande cubatura del
castello fu frazionata, venduta a tanto al metro cubo e utilizzata per
riparare o per costruire ex novo altre abitazioni.
Era il colpo di grazia inferto dai proprietari
alla loro antica residenza. Nessuna legge tutelò il bene storico e lo scempio
che seguì fu totale. Furono asportati portali, stipiti, camini,
riquadrature di finestre e di porte, bozze di arenaria e travature, fino a
giungere al desolante stato di degrado attuale |